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L’arte di fallire è l’arte di fiorire

Oops, I did it again! Ho fallito di nuovo. No, non starò qui a leccarmi le ferite, a compiangermi, a dissezionare minutamente tutti gli elementi che mi hanno condotto a questa ennesima disfatta.

Questa volta, per la prima volta in vita mia, sono felice di aver fallito. E sapete perché? Fallire mi ha permesso di capire i miei limiti. Ragazzi, siamo umani, full of flaws, ma ciascuno deve fare i conti con i propri ritmi, i propri spazi e le proprie energie. Questa dannata società della performance ci ha addestrati a competere non solo l’uno contro l’altro ma contro noi stessi. Così, come se non bastasse l’impietoso giudice interiore che già ci tormenta senza troppi convenevoli, dobbiamo pure tenere conto del giudice collettivo, la gogna mediatica pronta a puntarci il dito contro ogni volta che falliamo.

Ah, vedi, però, Tizio ce l’ha fatta. E tu no. Gne gne!”

Un costante reminder che scatta nel nostro cervello per ricordarci che, per sopravvivere, ci conviene vivere alla stregua dei robot: senza emozioni, senza quiete e senza posa, orientati unicamente al profitto.

E muoviti, pure!
Non ci riesci? Colpa tua.
Cadi? Che ci fai ancora lì per terra? Rialzati! Torna a produrre!
Che, non lo sai, che dietro di te c’è qualcuno pronto a prendere il tuo posto? Guarda che il mondo ti fa pelo e contropelo, eh, quindi sbrigati e mettine sullo stomaco, giusto per armarti di un po’ di sana apatia.

Cresci, e fallo vedere al mondo, quanto grande sei diventato: tu, questo sistema, sì che lo hai capito! Assecondandolo, in realtà, non hai fatto il loro gioco, no!, lo hai fatto solo per il tuo tornaconto personale. Bravo! Continua così.

Queste, le condizioni d’utilizzo nella società della performance. Ma io non ricordo di aver firmato nessun contratto. Tu?

E, soprattutto, qual è il prezzo che stiamo pagando?

Ora, fermati un attimo. Prendi una boccata d’aria, chiudi gli occhi, guarda dentro di te e chiediti:

Per cosa lo stai facendo? Per chi? E soprattutto, quanto tempo passerà, prima che crollerai su te stesso o su te stessa?

La paura di fallire è una paura finta

La paura del fallimento è una delle paure più inconsapevoli e paralizzanti che ci siano. Gli psicologi dicono che in realtà non abbiamo paura di fallire, ma paura di farcela. Ci credo! Con tutte le aspettative che ci caricano addosso ad ogni successo!

Ma lo sai davvero, cosa si nasconde dietro questa paura? Innanzi tutto, voglio analizzare con te il concetto di paura, il suo significato psicologico. Si tratta di un’emozione primaria guidata dall’istinto di sopravvivenza, scatta nel momento in cui percepiamo la presenza di un pericolo in grado di mettere a repentaglio la nostra vita.

A repentaglio. Significa che muori. Pensate quante volte, nel corso della nostra vita, possiamo ritrovarci in una situazione di pericolo di questo tipo: essere colpiti da un fulmine, aggrediti da un animale selvaggio, trovarsi in mezzo a una sparatoria, essere coinvolti in un incidente d’auto o in un disastro aereo (facciamo corna). Queste sono le situazioni in cui la paura, quella vera, si attiva.

Beh, quindi cosa mi stai dicendo, che tutte le altre paure sono irreali?

Duh? O meglio, irreali no, ma derivate sì. Abbiamo spostato la nostra percezione del pericolo su un piano esclusivamente mentale.

La paura del fallimento è una paura che riguarda l’Ego. Una paura acquisita, una paura di matrice culturale che non comunica con il nostro lato più profondo, ma se ne serve per orientare le nostre intenzioni. Le nostre abitudini. I nostri comportamenti. E quindi, spinti da questa paura, o agiamo in preda al panico, oppure non agiamo proprio, e rimaniamo lì, in uno stato di paralisi.

Cosa innesca la paura di fallire?

Sentimenti di vergogna e imbarazzo. Cosa penserà di te la gente, se fallirai? Penseranno che non sei destinato a grandi cose? Rideranno di te o gli farai semplicemente pena? Mi duole dirlo, ma, molto probabilmente, non se ne cureranno nemmeno: la gente è troppo impegnata a star dietro ai cacchi propri, per star dietro pure ai tuoi.

Non valgo abbastanza. Successo e fallimento vanno a braccetto con l’autostima e sono direttamente proporzionali. Il fallimento ti farà sembrare meno intelligente, meno capace, meno talentuoso. Anche questa è una trappola dell’Ego, maledetto, ma perché ci infliggiamo tutto questo male!?

Perdita di controllo. Il successo è un’altra spunta su una lunga lista di obiettivi. Raggiunto uno, si procede alla conquista di quello successivo. Il fallimento è un imprevisto che ci fa perdere il controllo sulla nostra percezione del futuro. Quando, in realtà, si tratta di un’illusione: non abbiamo controllo proprio su nulla! Se non sull’attimo presente (Oh, Captain, my Captain).

Deluderò la mia famiglia e i miei amici. Sulla famiglia, potrei aprire un capitolo immenso, ma mi limito a dirti questo: non sei nato e non sei nata per fare felici gli altri. Sei al mondo per fare felice te stesso, te stessa! In quanto agli amici, sei sicuro, sei sicura che lo siano davvero a questo punto?

Sai cosa succede realmente quando falliamo?

Assolutamente niente. Sorry to break that to you.
Cioè, non si muore, se è per questo.

Cosa fa un bambino, quando cade dalla bicicletta e si sbuccia un ginocchio? Piange per dieci minuti, poi si rimette in sella e torna a pedalare. E sapete qual è la cosa più sorprendente? Dopo non se lo ricorda più!

I fallimenti, le cadute, le craniate, servono a farci crescere. Ben venga tutto, se questo ci fa maturare! Altrimenti, come faremmo a capire quali sono i nostri limiti, i nostri ritmi, i nostri confini? I fallimenti ci aiutano a comprendere il modo in cui stiamo impiegando le nostre energie: le sto disperdendo? Le sto investendo in qualcosa di utile? Sto rispettando i miei confini come essere umano senziente e pensante?
Sì, ottimo. No, ridisegnamoli, questi confini. Esercitiamole qui le nostre energie. Qui, in uno spazio protetto, ma non chiuso al mondo: lo spazio dell’essere e della consapevolezza.

Allora, a cosa ci serve la paura? Innanzi tutto, chiediamoci: è una paura genuina? O è una paura guidata dall’Ego? In entrambi i casi, la paura ha sempre qualcosa da dirci e per questo va ascoltata, altrimenti troverà altre vie per manifestarsi. Però capisci che non può essere lei il sentimento che ci guida? Cosa dovrebbe guidarci, allora? La consapevolezza del nostro essere.

Fallire è un processo di selezione

Eh, beh, la fai facile! Mi piacerebbe dirti che lo è. Vengo anche io da un percorso assai lungo e sono ancora in cammino. Ti scrivo da questo nuovo stato di consapevolezza, come se stessi parlando alla me stessa del passato, spaurita e impanicata.

Fallire è un processo di selezione. E il processo, lo dice la parola stessa, avviene nel tempo. Ogni volta che cadiamo, credici o no, rimuoviamo un ostacolo verso il successo.

Che poi, attenzione alla parola successo! Quello che intendo io, con questo termine, è un concetto molto profondo. Successo, per me, significa specchiarsi dentro e allinearsi con la nostra vera essenza. Lasciarsi guidare dall’intuito e dal bambino interiore. Divenire consapevoli della nostra Luce. Comprendere le nostre energie e assecondarle. Disegnare i nostri confini e sapere quando è il momento di dire: “No, basta così”. Accogliere il cambiamento e lasciare che tutto continui a fluire.

Quando avremo acquisito questa consapevolezza, fallire diventerà un’arte. L’arte di fare sintesi. Così, troverai più facile abbracciare i tuoi talenti e investire il tuo tempo in ciò che è davvero in grado di valorizzarli. Se nutrirai le tue energie, tutto il resto verrà da sé e attirerai ciò che l’Universo ha predisposto per te.

Chissà, magari imparerai a vedere il fallimento come un gioco.

Che importa se cado? La partita non è ancora finita!

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